"Ogni gobba rocciosa sosteneva una congregazione di torri" Patrick Leigh Fermor |
Attraversare questo lembo di terra da Areopoli, la capitale dell'Alto Mani, fino a Capo Tanaro (nell'antichità identificato come le porte dell'Ade) è un viaggio a ritroso nel tempo, dove ad accompagnarci sono la poesia della natura (sempre più selvaggia via via che ci spinge verso sud) e i segni di un passato fatto di isolamento e di lotte feroci.
Come scrive Patrick Leigh Fermor nel suo libro Mani (che consiglio a tutti quelli che vogliono intraprendere un viaggio alla scoperta di questa regione):
".. il Mani immerso nel mare, divide l'Egeo dallo Ionio, e il suo capo selvaggio, il Tenaro, l'ingresso nell'Ade degli antichi, è il punto più meridionale della Grecia continentale. Nulla se non il vuoto Mediterraneo, che si inabissa a profondità enormi, giace tra questo sperone di roccia e le sabbie africane, e da qguesto punto l'immensa muraglia del Taigeto, le cui cime più alte sbarrano i confini settentrionali del Mani, innalza un nudo e arido inferno di roccia."
Faro del Matapan - Oltre il mare il continente africano |
Capo Tanaro - Mare e roccia |
Queste immagini parlano della fine del mio viaggio, di una passeggiata fino al faro di Capo Tanaro, fatta con un vento sferzante, che a tratti quasi frustava la faccia.
Partendo da questa spiaggia, in prossimità delle bocche dell'Ade
Spiaggia a Capo Tanaro |
via via che si prosegue in direzione del faro, il senso di isolamento si fa crescente. Intorno solo mare e roccia, una natura non addomesticata, aspra e selvaggia.
Verso il faro del Matapan |
Sempre citando Fermor, ecco le parole di un portatore di sale da lui incontrato durante la sua permanenza a Kitta, uno dei villaggi turriti dell'Alto Mani (che è stato anche la mia base per esplorare la parte più meridionale della regione):
"Quando Dio ha finito di fare il mondo, gli era avanzato un saccone di pietre e l'ha rovesciato qui".
Diede un calcio a un sasso. "Se trovassimo un mercante che compra sassi saremmo tutti milionari.."
" Nientr'altro che sassi..Sicuri che in Inghilterra non ve ne servono? Ve li darei a buon prezzo.. o dei rovi? Abbiamo dei rovi stupendi.."
E ancora oggi, più di 50 anni dopo, il paesaggio non è mutato..
Ma partiamo dall'inizio..
Prima di arrivare a Capo Tanaro e Kitta, il viaggio mi ha portato alla scoperta dell'antica Tsimova (oggi Areopoli), diventata capitale dell'Alto Mani (al posto della vicina Oitylo), per aver dato i natali al celebre Petrobey Mavromichalis.
Capo di una delle famiglie più influenti della regione, Petros Mavromichalis, nel 1821, diede inizio alla rivolta contro i turchi che portò all'indipendenza della Grecia.
"Quando Dio ha finito di fare il mondo, gli era avanzato un saccone di pietre e l'ha rovesciato qui".
Diede un calcio a un sasso. "Se trovassimo un mercante che compra sassi saremmo tutti milionari.."
" Nientr'altro che sassi..Sicuri che in Inghilterra non ve ne servono? Ve li darei a buon prezzo.. o dei rovi? Abbiamo dei rovi stupendi.."
E ancora oggi, più di 50 anni dopo, il paesaggio non è mutato..
Torre maniota vicino Kitta |
"Le rovine di certi quartieri ci incantano, perché solo la bellezza si rovina bene" Cocteau |
Ma partiamo dall'inizio..
Prima di arrivare a Capo Tanaro e Kitta, il viaggio mi ha portato alla scoperta dell'antica Tsimova (oggi Areopoli), diventata capitale dell'Alto Mani (al posto della vicina Oitylo), per aver dato i natali al celebre Petrobey Mavromichalis.
Capo di una delle famiglie più influenti della regione, Petros Mavromichalis, nel 1821, diede inizio alla rivolta contro i turchi che portò all'indipendenza della Grecia.
Una sua statua troneggia nella piazza del mercato, sguardo fiero e yatagan (lunga spada dalla lama ricurva) bene in vista, simboli di forza e indomito spirito guerriero.
E il nome Areopoli (città di Ares, dio della guerra) vuole proprio celebrare le doti di questo suo illustre abitante..
Unico vero centro abitato incontrato nel mio viaggio alla scoperta dell'Alto Mani, Areopoli mi accoglie nella calda luce del tramonto.
Situata su un nudo altopiano subito al di sopra della pittoresca baia di Limeni, è un piccolo villaggio con alcune belle case in pietra e un paio di chiese dall'architettura slanciata.
Molto bella (soprattutto all'esterno) la chiesa dei Taxiarches (Arcangeli), chiesa gentilizia della famiglia Mavromichali, con i suoi portali finemente scolpiti e il suo campanile che svetta isolato nella piazzetta antistante, abbellita da alcune piante di gelso
Le stradine acciottolate, ricche di fascino e animate dalla presenza di alcuni bar e taverne, si fanno sempre più strette e ripide via via che dall'ampia piazza del mercato ci si spinge verso il mare.
Areopoli è un'ottima base per esplorare la baia di Limeni e anche per un'interessante escursione alla scoperta di alcune antiche chiese (alcune delle quali scavate nella roccia) nella vicina Oitylo.
Gli scorci che offre il breve viaggio da Areopoli a Limeni sono di una bellezza da togliere il fiato: imponenti costoni di roccia che scendono quasi verticalmente fino al mare incorniciano una piccola baia, fin dall'antichità unico approdo sicuro dell'Alto Mani settentrionale.
Alle spalle della baia, arroccata sulla cima di un dirupo, Oitylo, antica capitale del Mani, nasconde alcuni tesori e scorci di ineguagliabile bellezza.
In passato popolosa cittadina, oggi é un sonnecchioso villaggio circondato dalle vestigia del passato, come l'imponente fortezza turca di Kelefa (XVII secolo), unica traccia dell'impero ottomano nel Mani, costruita nel sito in cui, al tempo dell'Antica Grecia, sorgeva un tempio dedicato a Serapide.
È lassù sulla cima della montagna che domina il golfo di Oitylo, nascosta tra la vegetazione..
Per l'orgoglioso popolo del Mani e per gli abitanti di Oitylo (discendenti dai valorosi guerrieri spartani), questa fortezza rappresentava l'anticamera dell'occupazione da parte degli odiati turchi, un tormento che portò le due più importanti famiglie della zona (gli Iatriani probabili discendenti dei Medici di Firenze e gli Stefanopoli) a abbandonare la terra natia alla fine del XVII secolo, per ricominciare una nuova vita altrove. I primi si spostarono nelle terre dei loro presunti antenati (tra Volterra e Grosseto), i secondi, grazie all'aiuto dei Genovesi, ottennero un piccolo feudo in Corsica, dove ancora oggi, a Cargese nel sud del paese, sopravvive una piccola comunitá di loro discendenti. C'é chi dice che il grande Napoleone Bonaparte possa discendere da questa nobile stirpe di manioti, ma sono solo leggende...
Alla storia di questa piccola diaspora, Fermor dedica un capitolo (uno dei miei preferiti) del suo bellissimo libro Mani. È un mix di leggende, racconti di faide, di viaggi avventurosi e di dissertazioni filologiche che non mancherá di appassionare i viaggiatori più curiosi.
Ma riprendiamo il cammino.. dal centro del borgo di Oitylo parte un bel sentiero lastricato (kalderimi) che corre lungo un dirupo.
È il sentiero delle meraviglie!
Lungo il percorso si incontrano piccole cappelle scavate nella roccia, eleganti chiese bizantine (come quella del Salvatore), quasi tutte ancora accessibili. Si cammina sospesi tra cielo e mare, sulle tracce degli antichi abitanti della regione, che già agli albori del cristianesimo avevano abitato questi luoghi isolati, in fuga da dominazioni straniere e alla ricerca di un nuovo inizio..
L'emozione più grande è scoprire, alla fine di un sentiero dissestato, questa piccola chiesetta scavata nella roccia, sospesa sul bordo di un precipizio, con le pareti esterne imbiancate a calce, una piccola campana per richiamare i fedeli alla preghiera e i muri interni ancora decorati da affreschi, purtroppo non molto leggibili a causa dell'umidità e del fumo delle candele.
Peccato non poter visitare la chiesa del monastero di Ntekoulou, ultima tappa di questo sentiero incredibile... Avevo letto che gli affreschi all'interno sono molto belli. Purtroppo la famiglia che vive nella casa vicina e che ha le chiavi della chiesa, al momento del mio arrivo non è in casa.
Ma ammirarla anche solo dall'esterno è giá tanto..
Per ritemprarsi, dopo questa impegnativa camminata sotto il sole, non c'è niente di meglio che una scorpacciata di dolcissimi fichi raccolti direttamente da una delle tante piante lungo il sentiero e a seguire un bel bagno nelle limpide acque della baia di Limeni..
E, dopo una cena a base di polpo in una delle taverne vista mare della baia
non resta che godersi un tramonto indimenticabile, di quelli che solo la Grecia sa regalare..
E il giorno dopo di nuovo in viaggio, direzione Kitta (da cité, cittá), alla scoperta del Mani più selvaggio, dove le torri nikliane svettano sulle pendici e sulle cime di montagne aride, mute testimoni di faide e lotte sanguinose che hanno coinvolto, fino al XIX secolo, le famiglie maniote di questo remoto angolo di Peloponneso.
Passeggiando per le vie deserte di villaggi disabitati, rivivo con gli occhi i racconti di Fermor.
E i fantasmi del passato riaffiorano..
Il villaggio si anima..
Sembra quasi di sentire il rumore delle palle di cannone che rimbalzano e ruzzolano per le strade o il crepitio degli spari dei fucili che riecheggiano fra le strette viuzze o i lamenti funebri (mirologia) delle donne maniote che parlano di morte, disperazione e vendetta. E a ogni angolo, cecchini appostati, pronti anche allo scontro corpo a corpo con il nemico.
Eh si.. perchè da queste parti, alle soglie del XX secolo, la società era ancora di tipo tribale, con due o più famiglie più potenti (i cui membri erano detti nikliani) che si contendevano il controllo di un villaggio, mentre il resto della popolazione (i villani) era al loro servizio, disprezzata e senza privilegi.
Le lotte fra famiglie rivali di uno stesso villaggio potevano durare anche anni. Per tutto questo tempo i loro membri vivevano trincerati nelle loro torri, uscendo solo nottetempo per rifornirsi di cibo e armi. Di giorno solo i cecchini scelti si appostavano all'esterno per tendere agguati o per tentare di aprire brecce nelle torri nemiche, così da renderle più vulnerabili. I giovani nikliani (detti i fucili) venivano educati sin da piccoli dalle loro madri all'odio, alla lotta e alla vendetta. La loro vita era consacrata al clan di appartenenza, che andava difeso fino alla morte e con ogni mezzo.
Ma torniamo al presente..
Sarà un'antica torre maniota la mia casa durante questi giorni alla scoperta del Mani più autentico. I proprietari della Cittá dei nicliani (la struttura che mi ospita) hanno infatti restaurato e poi adibito a camere o mini appartamenti, alcune delle torri disabitate di Kitta.
Sembra di vivere in un villaggio nicliano in miniatura, il cui cuore è il giardino dal profumo di rosmarino e lavanda, con vecchie macine in pietra come tavoli per la colazione e la cena e un bellissimo gazebo che racconta la passione della proprietaria per la sua terra e i suoi viaggi intorno al mondo.
Dal terrazzino della mia torre lo sguardo abbraccia la piana di ulivi che circonda Kitta, punteggiata di torri e di piccole chiese.
Panorama dal terrazzino della mia torre a Kitta |
Starei ad ammirare per ore questo bellissimo paesaggio, ma è tempo di riprendere l'esplorazione..
Il cammino mi porta al piccolo villaggio turrito di Stavri, dove tutto è pietra e terreno arso.
Uniche eccezioni, delle piante di fico d'india davvero originali.
Stavri |
Ma la mia meta è la penisola di Tigani, il cui nome in greco significa manico di padella. E, vista la sua forma, questo nome le si addice perfettamente.
Ecco come la descrive Fermor:
"Il manico di padella è una striscia di perfide bugne e seghettati spunzoni di roccia butterati ogni pochi metri da cavitá saline. Sotto le nostre suole di corda le rocce parevano taglienti come lame di rasoio. Un deserto desolato, senza un filo d'ombra."
Il sentiero per raggiungerla parte un paio di chilometri dopo Stavri. Il sole è giá alto e solo una leggera brezza dona un po' di refrigerio in questo deserto di pietra. A un certo punto, sulla cima di un altipiano, il sentiero si biforca.
Alla mia destra la penisola, con ciò che resta del castello franco di Maina
Sullo sfondo la penisola di Tigani |
alla mia sinistra, abbarbicata su una roccia a picco sul mare, una piccola chiesetta, quasi mimetizzata nella pietra.
Quel puntino bianco sulla roccia è la chiesa di Ogitria |
Sembra incredibile come l'uomo sia riuscito a costruire una chiesa proprio lì. Rimango a guardarla da lontano, ipnotizzata da tanta bellezza, da questa perfetta armonia tra uomo e natura.
Poi mi metto in cammino.. Quella sarà la mia prossima meta. Il sentiero, sempre più dissestato, scende leggermente, passando a mezza costa.
Quindici minuti di cammino ed eccomi in un piccolo spiazzo: alla mia destra la chiesetta di Ogitria (letteralmente Colei che mostra la via), alla mia sinistra il mare.
Chiesa di Ogitria |
Il mare visto dalla chiesa di Ogitria |
Qui solo il rumore del vento e lo sciabordare del mare vengono a turbare la pace e il silenzio. Penso alla piccola comunitá di monaci che nel XIII secolo era giunta fino a qui, trovando rifugio nelle cavità delle rocce sovrastanti e che, con la stessa pietra della montagna, aveva fatto costruire questa piccola cappella.
La piccola porta della chiesa è solo accostata. Entro.. L'interno è di piccole dimensioni, ma conserva ancora tracce del periodo della sua prima costruzione, come il pavimento in marmo policromo finemente decorato e i bellissimi capitelli delle colonne che sorreggono la cupola. E sulla parete di fondo e quelle laterali tracce di affreschi del XIII secolo.
Chiesa di Ogitria - Interno |
È tempo di rimettersi in cammino..
Il caldo e la stanchezza mi convincono a rinunciare ( anche se a malincuore) alla camminata verso la punta di Tigani. Mi accontento di guardarla da lontano.. sarà per il prossimo viaggio..
Ripercorro il sentiero in direzione Stavri. Il villaggio è quasi addormentato nel calore del meriggio. Solo una piccola taverna è aperta. La proprietaria, all'interno, è intenta a pelare una quantità incredibile di patate per la cena della sera. Compro un gelato e lo mangio al fresco della veranda. Rinfocillata, decido di rientrare verso Kitta.
Ma le sorprese non sono finite..
A pochi chilometri dal villaggio, scorgo alla mia destra, seminascosta fra gli ulivi, una chiesa bellissima, che all'andata non avevo notato.
L'alternanza di pietra e mattoni nella facciata e nella cupola, creano un affascinante cromatismo, accentuato dalla luce del primo pomeriggio.
Chiesa dell'Episcopato vista dalla strada principale |
L'alternanza di pietra e mattoni nella facciata e nella cupola, creano un affascinante cromatismo, accentuato dalla luce del primo pomeriggio.
Mi guardo in giro per capire se esiste un sentiero per raggiungerla.
Niente di ben tracciato, ma la chiesa è lá, a poca distanza in linea d'aria. Decido di addentrarmi nell'uliveto e di orientarmi a vista.
L'ascesa è più ardua del previsto, fra rovi e pietraie, alcune con spunzoni di roccia particolarmente aguzzi. Ma la voglia di vedere questa meraviglia da vicino mi rende incosciente e non mi fa sentire il caldo e la fatica.
Impiego una ventina di minuti a raggiungere la chiesa, detta dell'Episcopato (perchè nel XIII secolo è stata chiesa vescovile) e la soddisfazione è grande.
La vista spazia dalla penisola di Tigani (a sinistra) alla baia di Mezapos (a destra), uno scenario magnifico.
A ridosso della chiesa, c'è un piccolo cimitero (come è consuetudine da queste parti, anche nei luoghi più sperduti). Noto che ci sono dei fiori freschi su un paio di tombe. Significa che la voglia di rendere omaggio ai propri cari è più forte della difficoltà di arrivare fino a lì.
La penisola di Tigani vista dalla Chiesa dell'Episcopato |
A ridosso della chiesa, c'è un piccolo cimitero (come è consuetudine da queste parti, anche nei luoghi più sperduti). Noto che ci sono dei fiori freschi su un paio di tombe. Significa che la voglia di rendere omaggio ai propri cari è più forte della difficoltà di arrivare fino a lì.
Anche qui la porta di ingresso è solo accostata.. L'interno (in restauro) cela magnifici cicli di affreschi con le storie di San Giorgio (dal nome del presunto fondatore) e di Gesù. Sulle pareti numerose immagini di Santi. Gli affreschi più antichi sono databili tra la fine del XIII secolo e il XIV secolo, altri risalgono al XVIII secolo.
Per chi volesse approfondire la storia e l'arte nel Mani, consiglio il sito (in inglese) www.maniguide.info. Leggendolo, si scopre quanto siano numerose le chiese e le piccole cappelle sparse nella regione. Ci vorrebbero mesi a esplorarle tutte.. Peccato avere solo pochi giorni!
Chiesa dell'Episcopato - Affreschi |
Chiesa dell'Episcopato - Affreschi |
Per chi volesse approfondire la storia e l'arte nel Mani, consiglio il sito (in inglese) www.maniguide.info. Leggendolo, si scopre quanto siano numerose le chiese e le piccole cappelle sparse nella regione. Ci vorrebbero mesi a esplorarle tutte.. Peccato avere solo pochi giorni!
Ridiscendo sulla strada principale, fermandomi ogni tanto a rinfocillarmi con qualche fico raccolto dalla pianta.
È arrivato il momento di un bel bagno rigenerante prima di rientrare a Kitta.
Niente di meglio che questo scoglio raggiungibile dalla spiaggia di Mezapos..
Spiaggia di Mezapos |
A Kitta, oltre al mio hotel e a un minimarket non c'è nulla, per cui decido che, per tutta la durata della mia permanenza qui, mi affiderò all'ottimo ristorante di Città dei Nicliani. Si rivelerà un'ottima scelta, sia per la location che per la cucina.
Il clima mite permette di cenare in giardino, in compagnia di cinque bellissimi mici e con un sottofondo musicale molto d'atmosfera (fra cui la bellissima colonna sonora del film Pina).
I piatti proposti (fra cui filetto di pesce con verdura o il ricchissimo piatto di formaggi greci) sono tutti preparati con cura dal proprietario, utilizzando ingredienti sempre freschissimi. II figlio e la figlia si occupano, invece, del servizio e lo fanno con gentilezza e professionalità (lui è un grande esperto di vini e può contare su una cantina molto ben fornita).
Un bicchiere di ouzo per concludere questa prima giornata a Kitta e poi mi lascio cullare dal silenzio e dalla pace di questo posto magico..
Il mattino seguente inizia con un ottima colazione a base di yogurt greco, miele e frutta fresca.
Poi in viaggio verso Vathia, in direzione sud. Il paesaggio si fa sempre più aspro via via che ci si allontana da Gerolimenas (ultimo approdo sicuro del Mani laconiano meridionale).
Qui in passato arrivavano le navi cariche di sale (preziosissimo in una terra così isolata e con poche risorse). I portatori di sale, poi, si inerpicavano su per i ripidi sentieri che dal mare portano ai villaggi, con i sacchi sulle spalle.
Vathia ricorda un po' San Gimignano, solo che qui, soprattutto la mattina presto, puoi pssseggiare in completa solitudine fra le alte case torri, ormai disabitate. Niente negozi di souvenir, niente orde di turisti, solo qualche micio e qualche intrepido viaggiatore.
Quando Fermor passò di qui, negli anni '50, il villaggio era ancora abitato. Lui e la sua compagna furono ospitati all'ultimo piano di una delle torri da una famiglia di pastori.
Qui in passato arrivavano le navi cariche di sale (preziosissimo in una terra così isolata e con poche risorse). I portatori di sale, poi, si inerpicavano su per i ripidi sentieri che dal mare portano ai villaggi, con i sacchi sulle spalle.
Vathia ricorda un po' San Gimignano, solo che qui, soprattutto la mattina presto, puoi pssseggiare in completa solitudine fra le alte case torri, ormai disabitate. Niente negozi di souvenir, niente orde di turisti, solo qualche micio e qualche intrepido viaggiatore.
Vathia |
Passeggiando per Vathia |
Quando Fermor passò di qui, negli anni '50, il villaggio era ancora abitato. Lui e la sua compagna furono ospitati all'ultimo piano di una delle torri da una famiglia di pastori.
Ecco come Fermor descrive la prima sera a Vathia:
"La notte era quieta. Poiché la cima della nostra torre era la più alta di Vathia, le altre erano invisibili e pareva di cenare a mezz'aria su un tappeto magico aleggiante tra vaghi recessi montani. Alzandosi in piedi ecco le altre terrazze, tutte vuote e chiare sotto la luna enorme. Non si vedeva una luce, e gli unici suoni erano l'acuta nota insistente di due grilli, un usignolo e un fievole coro di rane, attestante la presenza d'acqua da qualche parte nell'arida sierra".
Le cose non sono molto cambiate da quando Fermor è stato qui.
"Da sotto comparvero delle sedie e Vasilio (la figlia dei pastori che ospitarono Fermor a Vathia) prese un rotolo di corda e la sciolse giù nella notte, ritirandola, dopo uno scambio di grida con qualcuno venti metri più in basso, con un tavolo tondo di latta legato a un capo. Tirò fuori e stese una tovaglia bianca pulita e mise al centro una lanterna, inserendo un cerchio d'oro nel chiaro di luna... La corda, all'estremità della quale era stato ora legato un grosso cesto, fu calata nuovamente più volte nel buio per prendere altro vino e altro cibo".
È divertente passeggiare per questa città fantasma, esplorando le torri all'interno e immaginando di prenderne possesso.
Mi fermerei a fotografare ogni scorcio, ogni dettaglio decorativo, ma Capo Tanaro mi aspetta..
Splendide architetture a Vathia |
Scorci di Vathia |
Vista dalla cima di una delle torri di Vathia |
La strada via via che ci si avvicina alla punta si fa sempre più stretta, le indicazioni sempre più scarse. Sembra veramente di procedere verso un punto di non ritorno.
Niente più vegetazione, nè case, solo qualche torre diroccata qua e là a punteggiare i fianchi aridi delle montagne. E una donna vestita di nero a dorso di asino incrocia il mio cammino...
Niente più vegetazione, nè case, solo qualche torre diroccata qua e là a punteggiare i fianchi aridi delle montagne. E una donna vestita di nero a dorso di asino incrocia il mio cammino...
Procedendo verso capo Tanaro, mi viene da pensare che oggi almeno ci sono strade, seppur strette e ripide e a tratti non perfettamente asfaltate.
Solo 60 anni fa, ai tempi del viaggio di Fermor, molti di questi luoghi, compreso capo Tanaro, non erano raggiungibili che via mare e poi inerpicandosi per sentieri dissestati e scoscesi. Chi poteva permetterselo, pagava dei portantini per trasportare i bagagli dal porto di approdo fino al villaggio di destinazione più a monte.
E infatti Fermor raggiunse Capo Tanaro a bordo di un piccolo caicco a motore, godendo, lungo il viaggio, di uno scenario di straordinaria bellezza:
"Ora le terrazze di olivi si susseguivano, una pennellata d'ombra dopo l'altra, mentre le cornici che esse sorreggevano erano sottili nastri ricurvi di luce. In alto le torri di Alika e la scogliera crestata di ruderi di Kiparissos mossero verso di noi.....e la guglia di Vathia interamente coronata di torri..."
E dopo aver esplorato a nuoto la grotta che, secondo la leggenda, nasconde l'entrata dell'Ade, il viaggio in caicco di Fermor prosegue, fino al faro:
Sulla strada per Capo Tanaro |
E dopo aver esplorato a nuoto la grotta che, secondo la leggenda, nasconde l'entrata dell'Ade, il viaggio in caicco di Fermor prosegue, fino al faro:
"Finalmente apparve lo stretto faro del Matapan, con le rocce che cadono ripide al capo...Sporgendosi dal parapetto era possibile toccare l'estremo lembo aguzzo di roccia dove incontrava l'acqua. Questo ruvido, svelto contatto con un punto geografico che spesso avevo coperto col dito sull'atlante fu un momento di soddisfazione, come l'ambizione infantile di stringere un giorno il pugno intorno a un vero polo nord immerso nella neve".
Finalmente arrivo anch'io a capo Tanaro, nel punto in cui la strada finisce e comincia il sentiero che porta al faro.
Il sole di mezzogiorno è troppo forte per proseguire in questa landa senza alberi. E poi la piccola spiaggia che incontro all'inizio del cammino è così invitante, che decido di fermarmi per un bagno.
Trovo poi uno scoglio isolato e riparato dal sole, dove rilassarmi un po' leggendo e ascoltando musica.
Di questi tempi è cosa rara, ma qui i cellulari non prendono e per qualche ora ci si dimentica di internet, facebook, whatsapp. L'unica connessione è con noi stessi e con la natura. Un privilegio non da poco..
Capo Tanaro |
Il sentiero verso il faro di Matapan |
Il sole di mezzogiorno è troppo forte per proseguire in questa landa senza alberi. E poi la piccola spiaggia che incontro all'inizio del cammino è così invitante, che decido di fermarmi per un bagno.
Spiaggia di Capo Tanaro |
Trovo poi uno scoglio isolato e riparato dal sole, dove rilassarmi un po' leggendo e ascoltando musica.
Di questi tempi è cosa rara, ma qui i cellulari non prendono e per qualche ora ci si dimentica di internet, facebook, whatsapp. L'unica connessione è con noi stessi e con la natura. Un privilegio non da poco..
Sulla strada del ritorno decido di concedermi un secondo bagno nella bellissima spiaggia di Kopi, tra Vathia e Gerolimenas. Mi faccio cullare dalle onde ammirando le torri di Vathia sullo sfondo!
Spiaggia di Kopi |
Sta per concludersi un'altra giornata intensa e bellissima, in cui il mio viaggio e quello di Fermor si sono più volte incrociati. E che emozione scoprire quanto certi luoghi che ho attraversato conservino pressoché inalterato il fascino che pervade i racconti di questo straordinario viaggiatore!
Il mio ultimo giorno nel Mani si preannuncia grigio e ventoso
L'ideale per una passeggiata fino al faro di Matapan, "ultimo aggetto di calcare bitorzoluto", "il frammento più meridionale della Grecia continentale".
Ripercorro la stessa strada del giorno prima, ma com'è diverso oggi il paesaggio senza il sole! Il suo fascino rimane però intatto..
Lungo il cammino verso il faro, mi fermo a fotografare uno splendido mosaico, probabilmente la decorazione di una villa di epoca romana.
E poi ecco il faro, solitario guardiano di questo aspro tratto di costa
Giusto il tempo di ammirare il panorama, che il tempo volge al peggio. Decido così di rientrare.
Uno quei forti temporali estivi, cosa rara da queste parti, si abbatte su Kitta subito dopo il mio arrivo. Non mi resta che rifugiarmi nella mia torre e aspettare..
Nel tardo pomeriggio esco per un'ultima passeggiata nei dintorni
e scopro uno degli angoli più pittoreschi di tutto il mio viaggio
Ed eccomi arrivata alla fine del mio viaggio nel Mani, un viaggio tanto desiderato e che finalmente sono riuscita a realizzare. E non da sola, ma con Giusy, una fantastica compagna di viaggio!
Ci rimane ancora la splendida Mistras prima di rientrare a casa.. Ma questa è un' altra storia..
A presto!
Ripercorro la stessa strada del giorno prima, ma com'è diverso oggi il paesaggio senza il sole! Il suo fascino rimane però intatto..
In cammino verso il faro |
Lungo il cammino verso il faro, mi fermo a fotografare uno splendido mosaico, probabilmente la decorazione di una villa di epoca romana.
Mosaico a capo Tanaro |
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Ecco il faro.. |
Giusto il tempo di ammirare il panorama, che il tempo volge al peggio. Decido così di rientrare.
Uno quei forti temporali estivi, cosa rara da queste parti, si abbatte su Kitta subito dopo il mio arrivo. Non mi resta che rifugiarmi nella mia torre e aspettare..
Nel tardo pomeriggio esco per un'ultima passeggiata nei dintorni
La piana di Kitta |
e scopro uno degli angoli più pittoreschi di tutto il mio viaggio
Nei dintorni di Kitta |
Ed eccomi arrivata alla fine del mio viaggio nel Mani, un viaggio tanto desiderato e che finalmente sono riuscita a realizzare. E non da sola, ma con Giusy, una fantastica compagna di viaggio!
Ci rimane ancora la splendida Mistras prima di rientrare a casa.. Ma questa è un' altra storia..
A presto!